L’idea è così semplice da risultare geniale: strano che nessuno ci avesse pensato prima. Rifletteteci, riuscite a immaginare un politico migliore del dio dell’inganno? No, ovvio, ma a cose fatte è più facile. Va reso dunque merito a Christopher Hastings per la brillante intuizione che lo ha portato a concepire e scrivere la mini-serie Vota Loki, anche se, va ammesso, il clima politico del 2016 probabilmente ha avuto un qualche ruolo sul piano dell’ispirazione.

Sgombriamo subito la stanza dall’enorme elefante (rosa, e mille kudos a chi coglie la citazione) che la ingombra: Vota Loki è stata pubblicata nel pieno della più folle campagna elettorale degli Stati Uniti, quella che avrebbe portato Donald Trump alla Casa Bianca, ed è davvero difficile non vedere un parallelo nella vicende di un mentitore conclamato e patologico che ambisce alla conquista del potere. Hastings, per altro, non fa nemmeno nulla per prendere le distanze dall’allegoria, anzi ci gioca apertamente. 

Vota Loki
Dal trailer, ipotizziamo che nell’imminente serie di Loki vedremo qualche riferimento a questa mini-serie.

Dopo aver sventato per caso, sempre che possa esistere il caso quando si parla di Loki, un attacco dell’Hydra a un dibattito presidenziale, il dio dell’inganno fa sue tutte le più classiche tecniche dei politici di professione per guadagnare consensi: risposte svianti, versioni distorte dei fatti e un uso strumentale dei media. Alfiere involontario della sua campagna elettorale, infatti, è Nisa Contreras, giornalista d’assalto la cui fama è legata a un suo reportage sulla mala gestione dei fondi per la ricostruzione stanziati per rimediare ai danni causati in città proprio da Loki anni addietro. 

La mini-serie scritta da Hastings e disegnata da Foss funziona per il continuo movimento dentro e fuori le regole dell’Universo Marvel. È raro, ad esempio, che vengano citati gli effetti della distruzione degli scontri, ma è ancora più raro che in un fumetto Marvel si facciano rimandi politici precisi, mentre in Vota Loki tra riferimenti a certificati di nascita stranieri e fanatici convinti di avere le prove di improbabili cospirazioni, le citazioni dall’attualità sono alla portata di chiunque abbia letto un quotidiano negli ultimi anni. 

Il gioco per ottenere questo effetto realtà è vecchio come Marvels, ovvero quello di spostare il punto d’osservazione ad altezza marciapiede, utilizzando gli occhi di un (una, in questo caso) giornalista per filtrare gli eventi. Così facendo le note di realtà si mescolano ai riferimenti Marvel: c’è un tentativo di ingerenza nella politica interna di una potenza straniera, ma avviene a Latveria, patria del Dr. Destino, mentre la prima intervista a Loki è condotta da J.J. Jameson, per fare esempi concreti. Perfetti, in questo senso, sono i disegni di Langdon Foss, lontani dall’ipertrofismo tipico delle storie di super-eroi e più vicini al gusto indie, capaci di trasmettere la comicità delle situazioni anche solo attraverso le espressioni esagerate dei personaggi in scena, riportando un po’ alla mente le strisce comiche dei quotidiani. 

L’azzardo funziona per buona parte della mini-serie perchè Loki resta Loki e non solo una trasposizione allegorica di Trump. Il fratello di Thor sfrutta ogni risorsa nel suo repertorio per conquistare gli indecisi, inclusa la trasformazione in donna nel momento in cui ha bisogno di rafforzare l’intenzione di voto in quel segmento della popolazione, cosa che va ammesso l’ex presidente non avrebbe mai fatto, nemmeno se avesse potuto. 

Benché il bersaglio grosso della satira sia di sicuro colui che, al momento della pubblicazione, era l’outsider della corsa presidenziale, Vota Loki mira a prendersi gioco più del meccanismo politico che della persona. Certo attraverso molte delle azioni di Loki si possono vedere quelle di Trump, ma questa volta l’incredibile non sta nei gesti, ma nella loro efficacia: non è strano che il dio dell’inganno si professi un mentitore migliore degli altri candidati, quanto piuttosto il fatto che ciò gli garantisca un’impennata nei sondaggi. In soli quattro numeri, Hastings è bravissimo a individuare tutte le stranezze della vita politica quotidiana delle nazioni occidentali (gli scandali che rafforzano chi vene esposto, lo scollamento tra i titoli e il contenuto degli articoli, il fanatismo cospirazionista, etc.) e costruirci sopra una storia al contempo assurda e credibile. 

Vota Loki molla il colpo solo nel finale, un po’ per esigenze narrative più grandi rispetto alla singola miniserie, e un po’ per una risoluzione che poggia un po’ troppo sulla presunta differenza tra la gente comune e i politici di professione, anche se le ultime due tavole provano a ribaltare il senso degli eventi insinuando un grosso dubbio, strizzando persino l’occhio alla realtà. Al di là di un finale leggermente meno pungente del resto della miniserie, Vota Loki rimane una lettura spassosa e una delle produzioni più interessanti e fuori dagli schemi della produzione Marvel recente. 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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